ROTA (FAI-CISL), PARTIAMO DALLA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO DELL’ INDUSTRIA ALIMENTARE PER NEGOZIARE SALARI, DIRITTI E TEMPO

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di Letizia Martirano

“La lotta al caporalato dovrà essere prioritaria per chiunque andrà al Governo”, avverte Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl che il questa intervista fa il punto su alcuni temi di attualità.

Rota non e’ contento della crisi di governo, piombata tra capo e collo, e, saggiamente, non si lancia in previsioni sull’autunno.

Tuttavia dalle sue parole e’ chiaro che l’inflazione galoppante pesa sui futuri contratti e che l’impegno della FAI e delle altre sigle e’, innanzitutto, di tutelare i lavoratori.

Cosa prevedete e cosa si deve fare in autunno?

Difficile prevedere cosa accadrà, molto dipenderà da come la politica saprà varare misure concrete e razionali in tempi brevi. I dossier urgenti da affrontare erano e sono ancora tanti, e il confronto tra parti sociali e Governo era andato avanti, per cui la crisi è stata una pessima prova di irresponsabilità. Tra guerra in Ucraina, Pnrr, impoverimento, pandemia, speculazioni sui mercati agroalimentari, rischio di carenza energetica, non si poteva concepire un momento peggiore per una crisi del genere. Ora va ascoltato l’appello del Presidente Mattarella a dare un contributo costruttivo per affrontare da subito le difficoltà di

famiglie e imprese.

Da quali priorità dovrebbe ripartire la politica?

Purtroppo la campagna elettorale è partita in modo aggressivo e confusionario, sentiamo parlare molto di alleanze e poco di cose concrete, invece bisogna già guardare alla legge di bilancio. Rilanciare salari e pensioni valorizzando la contrattazione, puntare su formazione e politiche attive per creare opportunità occupazionali, specialmente per giovani e donne, realizzare gli obiettivi del Pnrr, sostenere i comparti agroalimentari e ambientali come leva di sviluppo e transizione ecologica: c’è un’agenda sociale ben conosciuta che tutta la politica dovrà gestire, speriamo con responsabilità e visione.

Come va la contrattazione?

Dal punto di vista dei contratti il nostro bilancio è ricco di soddisfazioni. Pensiamo al rinnovo del contratto nazionale degli operai agricoli e florovivaisti, a quello dei consorzi agrari, o a quello della panificazione. E prima ancora abbiamo rimesso sulla retta via i contratti nazionali della forestazione e degli allevatori, fermi da oltre dieci anni. Sono conquiste importanti perché restituiscono ai lavoratori e alle loro famiglie parecchio potere di acquisto, e poi perché rafforzano le tutele, gli strumenti partecipativi e quelli di welfare. A ottobre approveremo la piattaforma definitiva per il nuovo contratto dei consorzi di bonifica. Mentre per il settore alimentare, abbiamo messo a punto le nuove linee di indirizzo per la contrattazione di secondo livello, per il periodo 2023-2025, e stiamo già pensando al prossimo rinnovo del contratto nazionale dell’industria, che scadrà a fine 2023.

Un appuntamento molto importante, giusto?

Certo, e la trattativa avverrà in un contesto parecchio diverso dall’ultima volta. Con l’ultimo rinnovo abbiamo ottenuto grandi miglioramenti su welfare, lavoro agile, formazione, e un aumento salariale appropriato per quello scenario, che in base all’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo, è stato del +5,5, con 119 euro a regime, a cui si aggiungevano 5 euro di welfare e 30 per i lavoratori esclusi dalla contrattazione di secondo livello. Ora come Fai Cisl abbiamo fatto delle proiezioni su quell’aumento, e i dati sono molto interessanti. L’Ipca totale realizzato per il quadriennio 2020-2023 depurato dei costi energetici arriva all’8,6%, praticamente alle 119 euro di aumento andrebbero aggiunti altri 65,30 euro. Inoltre, per lo stesso periodo, inflazione complessiva secondo la Banca d’Italia arriva al 13,6%, con una differenza rispetto alle nostre 119 di altri 172,45 euro.

Questo calcolo come si traduce in euro?

Con gli attuali dati inflattivi il contratto nazionale degli alimentaristi dovrebbe valere 184 euro al netto dei costi energetici o 291 euro se valutiamo l’inflazione complessiva. E a questo andrebbe aggiunta l’Ipca prevista. Anche se facciamo il confronto con i dati della Bce di giugno, l’inflazione complessiva arriva all’8,5%, che con alimentari e bevande sale al 9,2% e con alloggio, elettricità e gas arriva al 28%: dati nettamente superiori ai cugini di Francia, Germania, Spagna e alla media dell’area Euro, che si attesta al 16,9%. Poi naturalmente gli aspetti positivi del contratto nazionale sono molti altri, ma indubbiamente ci batteremo per rafforzare le tasche delle lavoratrici e dei lavoratori duramente svuotate dal carovita. Vogliamo dare loro un contratto solido, che riconosca a pieno il loro ruolo, la professionalità, i tanti sacrifici fatti anche durante la pandemia.

In attesa del contratto nazionale cos’altro intendete fare?

 Intanto possiamo e dobbiamo partire dalla contrattazione di secondo livello. Con le linee di indirizzo abbiamo una bussola importante. Nell’industria alimentare i lavoratori hanno bisogno di avanzare soprattutto su tre fronti: contenuto salariale, formazione, tempo di vita. Sono sfide molto importanti, per certi versi nuove, che dobbiamo governare con la buona contrattazione. Dobbiamo costruire competenze e professionalità, garantire alla persona più tempo disponibile per la vita privata e famigliare, e tra lavoro agile e diritto alla disconnessione possiamo dare tante risposte, anche ai lavoratori in produzione, con nuovi modelli organizzativi. Anche per questo siamo soddisfatti di aver consolidato la rappresentanza nelle aziende: vogliamo che le rsu siano vere e proprie sentinelle contrattuali nelle fabbriche.

L’ultima trattativa per il contratto nazionale è durata quasi un anno. Cosa vi aspettate questa volta?


Assieme a Flai e Uila siamo stati sempre propositivi e disponibili. Il negoziato aveva avuto alti e bassi soprattutto perché per Federalimentare è stato difficile coordinare tutte le associazioni di settore: alcune si sono dimostrate all’altezza dei cambiamenti da affrontare, altre sono in ritardo. Ma al di là delle varie frizioni, che in parte sono pure fisiologiche, sento di poter dire che il settore vanta relazioni industriali positive, per molti aspetti anche innovative e coraggiose, che devono puntare a una maggiore partecipazione attiva delle parti sociali.

 
Parliamo della lotta al caporalato; quante firme ha raggiunto la vostra petizione on line?


La petizione su change.org ha superato le 19 mila firme. Oltre che da tanti cittadini comuni, è stata firmata anche da Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, da Luigi Sbarra e tanti altri sindacalisti, da parlamentari, leader politici, rappresentanti delle imprese, attivisti della società civile, giornalisti. E è destinata a crescere ancora. Ma la petizione è solo una parte di questa battaglia, è figlia della mozione con cui stiamo chiedendo ai parlamentari di impegnare il prossimo esecutivo su cose concrete e chiare: la lotta al caporalato dovrà essere prioritaria per chiunque andrà al Governo. Certo, il fatto che ora anche il Ministero del Lavoro abbia censito gli insediamenti dove vivono i lavoratori agricoli, spesso sfruttati e privi di contratto, purtroppo conferma quello che denunciamo da tempo. Per questo la nostra battaglia va in una direzione ben precisa: dobbiamo pensare a nuove politiche migratorie, nuovi progetti per alloggi e trasporti, dobbiamo superare in tutti i territori la politica dei ghetti, che genera solo sfruttamento e illegalità.