GIANSANTI (CONFAGRICOLTURA), È TEMPO DI AGIRE. UN PAESE FORTE NON PUÒ NON AVERE UN’AGRICOLTURA FORTE

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di Letizia Martirano

La crisi sanitaria ed il suo impatto sulle aziende agricole ha cambiato in modo sostanziale la percezione del ruolo che l’agricoltura gioca nell’economia di un paese. Partendo da questo assunto il presidente della Confagricoltura Massimiliano Giansanti svolge, nell’intervista che segue, una riflessione sul futuro indicando quali sono le direttrici di marcia su cui la sua organizzazione intende battersi.

Per l’Italia è iniziata la fase 2. Come la sta affrontando il settore agricolo?

Per l’agricoltura la fase 2 è iniziata dal momento del lockdown, nel senso che gli agricoltori e i loro dipendenti hanno sempre lavorato, rispettando i protocolli di sicurezza, ma non senza qualche preoccupazione per la propria salute, per garantire cibo agli italiani. Un impegno che abbiamo assunto con senso di responsabilità e che ci rende orgogliosi. Il Coronavirus, in qualche modo, ci ha portato alla ribalta, facendo comprendere a tutti quanto sia importante il ruolo dell’agricoltura. Ecco, iniziamo la fase 2 con l’auspicio che non ci si dimentichi di questo e che ci sia da parte delle Istituzioni la volontà di rafforzare questo ruolo, ponendo l’agricoltura al centro di un progetto di rilancio del Paese, che sarà assolutamente necessario una volta usciti dall’emergenza.

Cosa serve per concretizzare questo orientamento?

Ho sempre sollecitato, ancor prima dell’emergenza, la centralità del settore primario. Adesso però è il tempo dell’azione. Un Paese forte non può non avere un’agricoltura altrettanto forte, in termini di produttività e di competitività. E’ arrivato il momento di mettere mano su tutto ciò che servirà realmente a rafforzare il sistema agroalimentare nazionale, proprio nell’ottica di garantire al Paese l’autosufficienza alimentare.

Quali dovranno essere i punti cardine di questo progetto di rilancio?

Dobbiamo accrescere la produttività, andando a lavorare sulla filiera, puntando sull’innovazione, limitando i gap strutturali. E dobbiamo incidere sulla competitività. Appena il mercato riaprirà a livello globale, dovremo essere subito protagonisti, mantenendo ferme le quote di mercato già acquisite in passato e sforzandoci di accrescerle. C’è bisogno di un puntuale progetto strategico e, in questo quadro, vedo un ruolo cardine per Ismea che, a mio avviso, dovrà diventare una specie di “Mediobanca dell’agroindustria”. Un potente driver finanziario per il rilancio dell’agroalimentare nazionale.

Che ruolo puo’ giocare l’innovazione?

Fondamentale. Innovazione tecnologica e digitale saranno la chiave di volta della competitività. L’emergenza Coronavirus ha dato un ulteriore accelerazione a questo processo. Smart working, e-commerce, delivery, shop on line: ci siamo abituati a convivere con questi strumenti e difficilmente torneremo indietro. Serve un forte piano di investimenti per permettere al nostro Paese di competere, al pari di altri, in termini di infrastrutture digitali.

L’Unione europea come puo’ contribuire a sostenere questo percorso?

Un passaggio fondamentale, nel percorso di rinnovamento/rafforzamento delineato, viene dalla riforma in atto della politica agricola comunitaria. Abbiamo imparato, con l’emergenza Covid 19, tra le tante cose, quanto la PAC sia essenziale per la sostenibilità del Pianeta e quanto sia importante che in futuro venga rafforzata, dotata di risorse adeguate, indirizzata alla produzione ed alla produttività, semplificata in quanto a procedure di gestione delle varie misure ed infine improntata anche all’innovazione ed alla tecnologia applicata al prodotto ed alla sua commercializzazione. Abbiamo due anni (ormai è chiaro che non si applicherà infatti prima di gennaio 2023) per riflettere meglio su obiettivi e strumenti della PAC di domani, che sicuramente dovrà mettere al centro la sicurezza alimentare e la salvaguardia del sistema produttivo agricolo europeo. Il WTO ha stimato che nei prossimi mesi si potrebbe registrare per il 2020 un calo del commercio internazionale compreso tra il 13 ed il 32 per cento in base agli scenari più o meno pessimistici. Dobbiamo affidare il rilancio di questa “agricoltura 4.0 post pandemia” ad una visione che valorizzi il ruolo del settore primario e le sue funzioni essenziali. Con la convinzione comune che la strada che abbiamo davanti è irta di rischi ma anche di opportunità; e che la sfida della sostenibilità economica, ambientale e sociale che l’agricoltura italiana sta affrontando responsabilmente da tempo, deve essere al centro della nuova PAC, come sfida per tutti noi e per il nostro futuro. Abbiamo bisogno, insomma, di un’Europa che sappia guardare pure agli interessi dei Paesi dell’area del Mediterraneo. Sarà decisiva, quindi, un’azione politica determinata a far pesare il ruolo dell’Italia nella definizione delle future politiche europee.

In questi mesi di crisi sanitaria diversi problemi hanno colpito un po’ tutti i comaprti agricoli. Qual e’ la situazione ora?

 Moltissimi problemi. Ovviamente non per tutti i comparti è andata allo stesso modo. Penso al florovivaismo, che con la chiusura degli esercizi commerciali, delle attività di manutenzione del verde e il blocco dell’export è stato tra i più colpiti. Ma anche a tutti quei comparti fortemente dipendenti dal canale Ho.re.ca, come il vitivinicolo, il suinicolo, il lattiero caseario e la IV gamma, che ha risentito del cambio delle abitudini alimentari. E poi l’agriturismo, che come tutte le attività ricettive ha subito perdite enormi. Infine, per tutti c’è stato e continua ad esserci il problema della difficoltà di reperire manodopera.  Ad oggi mancano ancora 250 mila lavoratori.

A che punto si e’ sul fronte del lavoro agricolo?

Avevamo chiesto da subito al governo di attivare i “corridoi” verdi, ovvero la possibilità di far rientrare in Italia lavoratori stagionali che già da anni arrivano da Paesi come Marocco, India e Romania, per lavorare nelle nostre aziende. Persone qualificate, con professionalità specifiche e determinati livelli di formazione. Ma, a differenza di altri Paesi, l’Italia non è riuscita a trovare una soluzione. Nel frattempo in Abruzzo un gruppo di imprenditori, grazie all’impegno di Confagricoltura in collegamento con l’Ambasciata italiana in Marocco, ha pagato il biglietto aereo a lavoratori magrebini, che da anni venivano a lavorare in Italia per nove mesi e in inverno tornavano nel loro Paese. Due charter da Casablanca arrivano a Pescara oggi, ognuno con 120 lavoratori a bordo. Avevamo anche proposto che i percettori di sussidi potessero venire a lavorare nelle campagne, senza perdere i loro diritti. Il decreto rilancio ora lo consente, ma è tardi, perché molti lavoratori che erano in cassa integrazione ora hanno ripreso a lavorare con la riapertura delle attività industriali e commerciali.

Come vi siete organizzati nel frattempo?

Già da oltre un mese abbiamo attivato la piattaforma Agrijob, per mettere in contatto domanda e offerta di lavoro. Ventottomila persone che avevano perso il lavoro si sono presentate e molte di loro hanno trovato sistemazione nelle nostre aziende.

Il ministro Bellanova ha proposto di utilizzare i lavoratori che saranno regolarizzati…

L’emersione dal lavoro nero è un atto di civiltà, ma non risolve il problema della carenza di manodopera nelle campagne. La regolarizzazione non copre il fabbisogno di manodopera, soprattutto perché non tutti i regolarizzati sono qualificati per lavorare in agricoltura.

Nell’immediato di cosa hanno bisogno le aziende agricole?

Le proposte di Confagricoltura per la ripresa si possono sintetizzare in semplificazione e strumenti immediati per la tenuta e il rilancio del settore agroalimentare. Bene le misure previste dal decreto rilancio, la cui efficacia però dipende dalla velocità di attuazione e di erogazione degli stanziamenti. Le imprese hanno urgente bisogno di liquidità e i provvedimenti, trasversali su più ambiti, devono concretizzarsi in tempi rapidi. Per credito e fisco, ad esempio, Confagricoltura ha proposto una serie di agevolazioni e sgravi, nonché semplificazioni volte a supportare le imprese nella fase di ripartenza e che tengano conto delle loro oggettive difficoltà ed esigenze. C’è, inoltre, la necessità di velocizzare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione.