TOMEI (ASSOCARNI), POTREMO ESPORTARE IN CINA CARNE BOVINA 100% ITALIANA DA CAPI CON MENO DI 30 MESI

Di Letizia Martirano 

Le autorita’ cinesi hanno sottoscritto con l’ambasciatore italiano a Pechino Luca Ferrari un protocollo che autorizza l’apertura del mercato cinese alle carni bovine italiane. E’ la conclusione di un lavoro avviato da anni che finalmente arriva al traguardo grazie al perfetto coordinamento tra l’ambasciata d’Italia a Pechino, i nostri ministeri degli Esteri, della Salute e dell’Agricoltura e che apre, in uno scenario di commercio globale non facile, nuove opportunita’ importanti per le aziende italiane del settore bovino, osserva Francois Tomei, direttore generale di Assocarni che, in questa intervista, racconta come si e’ giunti all’accordo.

Quanta carne italiana volera’ in Cina?

 

L’Italia potra’ esportare una libera quantità di carne bovina 100% italiana proveniente da capi con meno di 30 mesi. Appena possibile sara’ necessario mettere in pista delle attivita’ di promozione per far conoscere al consumatore cinese le qualita’ della nostra carne e costruire una rete commerciale oggi poco sviluppata, salvo presso il mercato honkonghino dove le nostre aziende esportavano nel passato.

 

E’ un buon business?

 

In un mercato come quello cinese dove i maggiori esportatori sono giganti come l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay e l’Australia noi ce la giochiamo non sul prezzo ma sulla qualità e il saper fare italiano perche’ la carne di vitello in Cina e’ praticamente sconosciuta. Andando sull’alta gamma, dopo la peste suina che ha scombussolato il mercato mondiale di tutte le carni, abbiamo l’ambizione di intercettare un consumatore cinese borghese.

 

Da quando avete iniziato a lavorare per questo protocollo?

 

Lavoriamo a questo accordo da cinque anni. Io personalmente sono andato in Cina varie volte. È un confronto che E’ iniziato durante Expo, nel 2015, quando i cinesi hanno visitato gli allevamenti del Nord Italia. È un accordo che doveva essere sottoscritto a dicembre 2019. Poi è slittato di alcune settimane e, alla fine, il ministro della salute Speranza, che teneva molto a firmarlo personalmente e aveva programmato un viaggio per il 22 febbraio, non è potuto partire per la Cina. A quel punto l’accordo è stato firmato dall’ambasciatore D’Italia a Pechino Luca Ferrari.

 

Perche’ l’iter e’ stato cosi’ complesso?

 

Tutto il mondo vuole esportare in Cina e quindi chi non ha una vera motivazione non riesce a completare la procedura perche’ i dossier presuppongono tempi molto lunghi. Per quanto riguarda il nostro paese vi sono stati innumerevoli incontri bilaterali tra le istituzioni a tutti i livelli e abbiamo fatto un lavoro enorme con i consiglieri commerciali dell’ambasciata a Pechino e i veterinari del ministero della Salute mentre gli altri ministeri come lo Sviluppo economico e l’Agricoltura hanno contribuito a sollecitare l’avanzamento del dossier ogni volta che vi era una missione istituzionale. E’ stato un vero lavoro di squadra.

 

Cosa chiedeva la Cina?

 

La Cina chiede a tutti i paesi interessati a esportare dei dossier molto copiosi e impegnativi. Nel caso dell’Italia i cinesi hanno revocato le misure restrittive sulla Bse nel 2017 poiché non riconoscono automaticamente che un paese sia indenne da Bse o da qualsiasi altra malattia e cio’ malgrado i riconoscimenti internazionali dell’Oie. Per questa ragione il nostro ministero della Salute ha dovuto mettere a punto un enorme dossier conditio sine qua nonper poter esportare e dimostrare il rispetto dei piu’ alti standard di sanità animale e igiene. Il dossier e’ stato poi tradotto in cinese e quindi presentato alle dogane cinesi. Nel frattempo in questi anni ogni qual volta vi sono state delle missioni cinesi in Italia sono state fatte visitare le aziende di macellazione e gli allevamentI.

 

Quando c’e’ stata la svolta?

 

Lo scorso anno, in marzo, quando c’è stato lo storico incontro a Roma tra il presidente del Consiglio Conte e il presidente cinese Xi Jinping e tra questi e il presidente della repubblica Mattarella nonché tra la delegazione cinese e gli imprenditori e ministri italiani. Grazie al segretario generale del ministero della Salute Giuseppe Ruocco e i dg Gaetano Ferri e Giuseppe Borrello e’ stato possibile inserire nel verbale finale dell’incontro che si è svolto a Villa Madama della Cina chiudere il dossier carne bovina entro 2019.

 

 

A settembre i cinesi sono di nuovo venuti in Italia per una visita lampo e sono andati al ministero della Salute dove è stato discusso il protocollo che poi e’ stato negoziato dalle nostre autorita’ diplomatiche.

L’Ambasciata d’Italia a Pechino, attraverso l’impegno diretto dell’ambasciatore Sequi e della sua squadra dell’ufficio commerciale, e’ stata determinante per la conclusione dell’iter, oggi, con l’ambasciatore Ferrari, che ha firmato il protocollo per conto del ministro Speranza, siamo in ottime mani. 

Ricordo che due anni fa, quando Ferrari era ambasciatore in Arabia Saudita, mi accolse a Riad, durante una missione con il commissario Hogan, e fu determinante per sbloccare il dossier bovino fermo da anni.  

 

Quanti sono coinvolti in queste esportazioni? 

 

Attualmente il ministero della Salute ha inviato una prima lista di stabilimenti italiani che potranno esportare non appena verranno approvati dalle dogane cinesi ma potenzialmente tutti gli stabilimenti italiani in grado di rispettare le norme richieste dai cinesi possono aspirare ad esportare, previa visita ispettiva del ministero della Salute.