ROTA (FAI-CISL): CONIUGARE SICUREZZA SUL LAVORO E PRODUTTIVITA’ SI PUO’, ANCHE NELL’AGROALIMENTARE

La massima sicurezza nelle fabbriche e’ un presupposto essenziale per contribuire alla gestione della drammatica crisi sanitaria che colpisce il sistema produttivo italiano. Partendo da questa considerazione il segretario generale della Fai-Cisl Onofrio Rota fa, in questa intervista, alcune considerazioni e un annuncio.

 

Con l’ultimo accordo tra governo e sindacati sono state riviste le produzioni che devono rimanere attive, tra cui l’agroalimentare, al pari della sanità. E’ stata una scelta condivisa?

Certo. Purtroppo era emerso che troppe imprese rimaste attive rappresentavano un rischio per i lavoratori e per tutta la collettività. Un chiarimento su quali produzioni sono davvero indispensabili in questo momento era necessario, e direi che alla fine è prevalso un generale senso di responsabilità da parte di tutti.

 

La Fai Cisl ha denunciato tra i primi la mancata attuazione del protocollo sulla sicurezza in alcune aziende. Com’è ora la situazione?

Abbiamo denunciato quello che ci segnalavano lavoratrici e lavoratori. Non si può pensare di mantenere le produzioni uguali e identiche a com’erano prima dell’emergenza sanitaria. Se deve esserci una distanza tra lavoratori, se devono essere scaglionati gli ingressi e le uscite, se si deve evitare qualsiasi contatto per prevenire il contagio da Covid19, se si devono sanificare gli ambienti, non è a discrezione dell’azienda o per un capriccio del sindacato. È per rispettare le indicazioni di medici e scienziati a garanzia della salute di tutti. Questo dev’essere chiaro. Detto questo, la situazione oggi è notevolmente cambiata, c’è maggiore consapevolezza, più collaborazione. D’altronde, bisogna capire che il lavoratore non vive solo in azienda: per lavorare deve spostarsi, e spesso con mezzi pubblici, poi, a fine turno, deve tornare a casa, e bisogna metterlo in condizione di non contagiare né sé stesso né altri. Salvaguardare la salute dei lavoratori vuol dire, oggi più che mai, salvaguardare la salute di tutta la collettività. Per noi vale il concetto del “rischio zero”, che è il nome della nostra prossima campagna per la sicurezza sul lavoro.

 

Di cosa si tratta?

Una campagna nazionale sul “rischio zero” nel lavoro agroalimentare italiano: vuol dire zero rischi in fabbrica, ma anche zero infortuni nei campi e nelle serre, zero malattie professionali, zero sfruttamento. Un richiamo che facciamo a imprese e istituzioni per dire che di sicurezza non possiamo parlarne solo davanti a emergenze come questa o ai morti sul lavoro. Avvieremo un monitoraggio dettagliato, con il forte coinvolgimento degli enti bilaterali, per mettere in campo tutti gli strumenti formativi possibili con cui fare prevenzione e innalzare la qualità del lavoro.

 

In agricoltura è più facile o complicato il rispetto delle norme di sicurezza a confronto con le fabbriche alimentari?

Certamente ogni comparto ha le proprie specificità. Non a caso con Coldiretti, Cia e Confagricoltura avevamo iniziato a lavorare assieme alle altre sigle a uno specifico protocollo, ma ora il governo ha chiarito che vale anche in agricoltura il protocollo del 14 marzo. Per noi va bene così, l’importante è che venga applicato. Poi è giusto che ciascuna realtà si dia un’organizzazione in base alle proprie esigenze produttive e logistiche, purché lo faccia confrontandosi con i rappresentanti dei lavoratori. E infatti questo è uno dei punti qualificanti di quel protocollo.

 

Sulla sicurezza avete dichiarato, negli scorsi giorni, di essere disposti anche a scioperare.

Ovvio. Chi in questo momento pensa che in nome dell’emergenza si possa barattare la salute dei lavoratori non ha ancora chiaro il quadro della situazione. La nostra coerenza sta nell’essere stati i primi anche a chiedere alle imprese di rallentare, qualora non fossero stati in grado di garantire la massima sicurezza.

 

In caso di sciopero non temevate di bloccare i rifornimenti indispensabili?

No, perché se è vero che ci sono alti livelli di domanda interna è anche vero che i crolli dell’export e della filiera turistico-alberghiera e della ristorazione compensano. Ma il punto non è giocare a mettere i lavoratori contro i consumatori o i sindacati contro le imprese, ma esattamente il contrario: affrontare l’emergenza con la buona negoziazione, nella consapevolezza che è possibile aggiustare il tiro e mettere insieme la garanzia delle produzioni necessarie con le tutele per i lavoratori. E per farlo, la flessibilità non può essere chiesta solo ai lavoratori, deve essere praticata da tutti. Il  nostro dunque era un preciso richiamo alla responsabilità. È un momento difficile per tutto il Paese, e ogni singola persona può e deve contribuire a superarlo nel miglior modo possibile. La stessa Confindustria ha mandato un messaggio molto importante invitando a non alzare i toni sulle decisioni del governo. E un altro atteggiamento secondo me molto positivo, che andrebbe sottolineato in questo momento, è quello di tanti assessori regionali, che pur tra mille difficoltà stanno sottoscrivendo gli accordi per la cassa integrazione in deroga per tutti i lavoratori interessati: accordi che sono il frutto di un grandissimo lavoro svolto dai sindacati a tutti i livelli. Ora la sfida è accelerare i pagamenti per dare una prima boccata di ossigeno ai lavoratori e alle loro famiglie.

 

Come si può affrontare la situazione, con le condizioni dei braccianti immigrati che vivono nei ghetti, che state denunciando in questi giorni?

Non è impossibile salvaguardare la salute di tutti, se si fa un’informazione capillare, si avviano presidi sanitari, si fanno azioni di prevenzione. Bisogna capire che i caporali non conoscono sosta. Anzi, con la mancanza di manodopera che si sta manifestando in questi giorni, per loro si aprono nuove opportunità. Ma confidiamo anche nel presidio delle Forze dell’Ordine: l’aver intensificato così tanto i controlli nelle strade a causa dell’emergenza sanitaria può essere di aiuto anche per attuare maggiori controlli nelle campagne. Poi il problema sta a monte, riguarda le politiche migratorie. Ha fatto bene il Ministero dell’Interno a posticipare al 15 giugno i rinnovi in scadenza dei permessi di soggiorno, ma ogni volta si riaffaccia il bisogno vero, cioè quello di gestire una regolarizzazione degli immigrati che possa ampliare i circuiti della legalità. Un appello che abbiamo fatto alle istituzioni diversi mesi fa e che rilanciamo oggi, anche per garantire maggiore prevenzione contro l’espandersi dei contagi.

 

Diverse aziende alimentari stanno offrendo anche premi ai lavoratori. Come li valutate?

I riconoscimenti, anche economici, ai sacrifici dei lavoratori, sono ben visti. Abbiamo commentato positivamente le scelte di diverse imprese di stanziare premi, bonus, fondi di solidarietà, o aumenti delle retribuzioni. E invitiamo chi non lo ha ancora fatto, a farlo quanto prima. Però non vorrei che qualcuno abbia frainteso: non è che si possa far lavorare in condizioni di rischio perché l’azienda sta pagando di più o perché il governo ha stanziato cento euro. Ai lavoratori non servono mance, né serve un sindacato che si metta a monetizzare la loro vita. Serve che questi riconoscimenti siano frutto di decisioni partecipate. Ecco allora che dovremmo tutti ripensare al ruolo fondamentale delle relazioni industriali nelle società complesse. Come Fai Cisl riteniamo sbagliato rifiutare le trasformazioni o relegarle al libero arbitrio delle imprese: bisogna sapersi fare parte attiva.

 

A proposito di relazioni industriali, a che punto è il negoziato sul contratto nazionale dopo la rottura?

Ad aprile è previsto un nuovo incontro. Vorremmo si concluda il rinnovo al più presto con un esito positivo per tutti. Questa emergenza ci sta dimostrando, ancora di più, che quello dell’industria alimentare è un asset strategico per l’Italia e che i lavoratori che ne fanno parte sanno tenere duro davanti a tutte le difficoltà. Non appena superata la crisi sanitaria andrà intrapreso il rilancio economico di tutto il Paese, e il settore potrà fare da traino. Sarà importante arrivare a quella fase con un contratto più avanzato, innovativo, misurato sulla persona molto più che sui concetti astratti del passato. Da questa crisi dovremo uscirne tutti migliori di prima.

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